Una «presa per i fondelli sonora», dice Maurizio Laffranchi, 67 anni, medico di famiglia in pensione dalla fine dell’anno scorso, vicepresidente della Libera Associazione Medicina Generale. Il “ruolo unico” che si prospetta per i liberi professionisti della categoria metterà ancora più in crisi la loro funzione, così nevralgica e mai così indebolita come oggi nella sua capacità di prendersi cura dei pazienti. Laffranchi lo dice dall’alto di un’esperienza durata oltre 41 anni, svolta a Milano e secondo la vecchia maniera, con un dedicarsi senza risparmio in una profonda conoscenza clinica e umana delle persone. In carriera ne ha seguite 5mila, qualcosa più, qualcosa meno. «Una buona parte di loro – racconta Laffranchi – si sposta, cambia residenza o muore. Allora rimani coi tuoi 1.700 di cui 700 sono extracomunitari o nuovi, la restante, un migliaio, è gente con la quale costruisci un rapporto duraturo, c’è fedeltà, c’è soddisfazione, c’è stima». Numeri che non stupiscono, anzi, sono destinati a salire. «Sa cosa vuol dire in termini di contatti medi giornalieri per un massimalista come me? Circa 60. È un dato certo e nazionale. E a ognuno di questi 60 contatti quotidiani devi almeno dare 5 o 6 minuti, minimo. La mail, la telefonata, le ricette. Sono decine di migliaia di contatti all’anno». Contesto rovesciato rispetto a quello del 1978 e degli anni successivi, quando i medici erano «una pletora e si contendevano i pazienti», racconta Laffranchi. Soprattutto, la burocrazia era fatta di poche cose, bastava «che il medico “tal dei tali” telefonasse alla vecchia Usl e dicesse: mi sono laureato il giorno “x”, lunedì apro il mio studio. Risposta: va bene, passi a prendere il ricettario»...
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