Non sono di buon umore, sto andando alla libreria del Museo del violino a comprare un mio libro, atto che mi fa rivalutare il detto ormai politicamente scorretto di “contro natura”. Sono vestito secondo il dresscode transgenerazionale, ovviamente di scuro da testa ai piedi e quindi appartengo correttamente a una collettività: solamente non alzo il cappuccio, e l’essere canuto dalla trico rarefazione del capo all’ispida lanuggine sul mento mi identifica come altro rispetto all’idea del futuro, nonostante Cremona sia tra le prime città italiane ad essere affiliate al network internazionale dedicato alla longevità.
La piazza che attraverso è abitata da una piccola tribù di ragazzi, che attivamente danno senso a una funzione contraria forse alle intenzioni del progetto di qualche anno fa ma del tutto legittima e prevedibile: uno spazio da occupare. Con non troppo stridule esclamazioni multilingue mi sfrecciano accanto in bicicletta, esercitandosi in acrobazie di volteggi ed erezioni di una ruota: sono padroni di quel vuoto fra un’ignorata vecchia edicola e la problematica sporca vetraggine su archeologie parimenti dimenticate, affiancato da un verde che nelle notti estive è di una precisa e definitiva etnia. Ai tempi dell’urbanistica fascista probabilmente era stata concepita come luogo per le adunate postulate dal regime davanti al Palazzo dell’arte. Oggi la politica raramente riesce a sollecitare adunate, anzi, ne ha tale paura da assumere un atteggiamento contundente le poche volte che si verificano spontaneamente. La cartolina che mi si fissa tra lo sguardo e la mente è di una piazza di giovani e giovanissimi, cremonesi da non più di due generazioni, che giocano, si dileggiano fra di loro, giustamente se ne fregano di qualunque divieto per esprimere il tentativo di uccidere con l’esercizio di coraggio e abilità una palese noia esistenziale: è una piazza di giovani, non fanno niente di male, anzi è bello che ci siano. La mia generazione con le biciclette andava verso il fiume, ma in fondo forse i ragazzi intuiscono che qui al fiume eravamo vicini, anzi eravamo in una zona quasi portuale. Sono la forza e la continuità della storia del territorio che inseguono i passaggi di civiltà o forse con questi si intrecciano, non essendo molto chiaro chi cambia cosa. L’importante è che ci siano giovani e storia. E tornando col mio sacchetto in mano riattraverso la palestra ma stavolta (...).
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