Tra le principali vittime delle conseguenze collaterali del Covid ci sono le giovani generazioni. Il riferimento non è tanto, in questo caso, alla continuità didattica, che si è cercato di mantenere mediante la dad (la “didattica a distanza”), uno strumento importante che, però, nel caso italiano ha dovuto scontare parecchia impreparazione e l’esistenza di un gap digitale in varie aree del Paese (oltre alla disomogeneità nella velocità di trasmissione dei dati e nella banda). Ma a quella dimensione di socializzazione che costituisce un aspetto fondamentale dell’apprendimento alla vita di tutti i più giovani. E che, nel caso degli adolescenti delle scuole secondarie superiori, coincide anche con la socializzazione alla politica e all’idea della rappresentanza. Un “apprendistato”, già fattosi via via più rarefatto nel corso degli anni che dal decennio degli Ottanta arrivano ai nostri, e che in questo infinito periodo di pandemia si è interrotto per la stragrande maggioranza dei nostri concittadini più giovani. E, di certo, la politica dei partiti non mostra particolare interesse per i ragazzi e le ragazze: una scarsa attenzione determinata innanzitutto da calcoli numerici, poiché la demografia e la denatalità li rendono poco appetibili, e ancor meno rilevanti, ai fini elettorali. Né svariate forme di giovanilismo che hanno caratterizzato certi leader possono, giustappunto, venire scambiate per un interesse autentico nei confronti delle problematiche delle fasce anagrafiche più giovani. L’Italia del Covid, ha annotato un osservatore di lunga data della società nazionale quale Giuseppe De Rita, si è fatta assorbire da una sorta di letargia e di passività casalinga, spinta dalle molteplici varianti della paura (quella di morire di virus, ma anche, più recentemente, di vaccinazione)...

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Massimiliano Panarari
Professore associato
di Sociologia della comunicazione
Università Mercatorum di Roma
e docente di Marketing politico
alla Luiss School of Government

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