“Io, Antonio Stradivari questa vollo che sia la mia ultima volontà in tanto che la mente sana e di corpo e di mente”. Anche il visitatore più distratto della mostra di liuteria contemporanea allestita dall’Ali fino al 30 settembre presso il teatro Filodrammatici di Cremona, non può non rimanere attratto dal quel foglio di carta ingiallito vergato a mano dal padre di tutti i violini, disposti intorno a far da corona.
Accanto agli strumenti contemporanei che di quelle righe sono i figli è l’esposizione dei documenti che costituiscono “L’eredità di Stradivari tra mito e realtà” allestita da Emanuela Zanesi e Angela Bellardi con le carte inedite dell’Archivio di Stato di Cremona a destare meraviglia. E il testamento di Stradivari, che di fatto apre la strada alla scuola classica cremonese, è emotivamente e simbolicamente il pezzo più pregiato per ricostruire quella linea ininterrotta nel tempo e nello spazio che lega la produzione contemporanea al suo creatore. Il 24 gennaio 1729, l’anziano liutaio elenca i figli avuti dai suoi due matrimoni indicandoli come eredi diretti, designando Francesco, il figlio più fedele, a succedergli nell’attività con un lascito cospicuo costituito da strumenti finiti, legni pregiati e attrezzature, con una posizione patriarcale all’interno della famiglia, e Omobono, più portato ai viaggi e agli affari.
Non si sa quanti strumenti i figli trovarono nella bottega alla morte del padre, ma senza dubbio doveva essere una mole davvero notevole, anche se non sapremmo darne l’esatta consistenza. La scomparsa del liutaio, infatti, non era stata divulgata fuori dai confini cittadini e le richieste di strumenti continuarono ad affluire nella bottega. I due fratelli poterono giocare sull’equivoco, continuando a sfornare strumenti con l’etichetta del padre scritta a mano anche dopo il 1737. Se non altro potevano ancora godere delle attrezzature e delle metodologie del maestro, cosa che non avvenne, però, negli anni successivi a tutti gli emuli stradivariani.
Il testamento prende in considerazione anche Paolo, il più giovane dei figli, ma sicuramente anche quello che più o meno consapevolmente contribuì allo sviluppo della liuteria moderna. Non in quanto artista, dal momento che non ebbe alcuna inclinazione per questa attività, ma per la sua attitudine al commercio, che lo portò a fare della bottega paterna un centro di traffico di strumenti, provocando da un lato per Cremona l’impossibilità di possedere strumenti di diretta costruzione stradivariana, ma dall’altro svolgendo la funzione di tramite tra la sua famiglia e la produzione liutaria della seconda metà del Settecento.
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